Viandanti e pellegrini «in questa valle di lacrime», esuli dalla nostra vera patria,
soprattutto nell’anno del Giubileo invochiamo Maria che, nella realtà di tutti i giorni,
ci venga incontro alla porta della sua casa e ci conceda di abitare per sempre con lei e con il suo figlio Gesù.
SANTA MARIA DEL CAMMINO SEMPRE SARÀ CON NOI
La chiesa di Sant’Agostino in Roma, da sempre affidata alla cura dei Padri Agostiniani, ospita, tra altri insigni capolavori di fede e di arte, una celebre tela di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, la Madonna dei Pellegrini o di Loreto. Il complesso della basilica e del convento si trova in una posizione felicissima al centro della Città Eterna, a due passi da Piazza Navona e dal Pantheon. Importantissima è la sua biblioteca, la Biblioteca Angelica, fondata nel 1614.
La Madonna dei Pellegrini, dipinta intorno al 1605, si conserva ancora nel luogo per la quale era stata commissionata, cioè sull’altare della Cappella Cavalletti, la prima a sinistra di chi entra.
La pala d’altare presenta la Vergine Maria con il bambino Gesù in braccio e due pellegrini inginocchiati davanti a lei. Che questi due personaggi, un uomo e una donna, siano pellegrini lo si comprende dal loro atteggiamento: hanno le mani giunte in preghiera, reggono il bastone del cammino, indossano vesti povere e sdrucite, i loro piedi sono nudi e sporchi. Essi sono giunti in prossimità di una casa e, davanti alla soglia, si prostrano con fiducia e devozione. L’ingresso della casa è ben evidenziato nelle sue linee che ne definiscono il gradino e lo stipite, mentre la parete presenta i segni di una scrostatura dell’intonaco che permette di vedere i mattoni al di sotto.
Come sempre accade nella storia dell’arte, i documenti ci aiutano a comprendere non solo la storia dell’opera ma anche il messaggio che essa intende comunicare. E nel nostro caso abbiamo un documento di eccezionale importanza, cioè l’atto con cui il pittore ricevette l’incarico. Nel 1603 Orinzia de’ Rossi, vedova del marchese Ermete Cavalletti, stabilisce che «in quella cappella si eriga un altare con un dipinto ad onore della Beatissima Maria di Loreto sotto la cui invocazione sia consacrato; ed in quella, a suo tempo, vi sia traslato il corpo di Ermete e dei suoi». Lo stemma della famiglia Cavalletti, di origine bolognese, fa la sua comparsa ai due lati dell’altare.
Ora, ben conosciamo l’iconografia lauretana, nota a tutti: la Vergine Maria con il Bambino in braccio viene raffigurata seduta in trono su una casa (o dentro una casa) portata in volo dagli angeli. Infatti, secondo un’antica tradizione, la casa di Maria fu portata da Nazareth a Loreto proprio dai celesti messaggeri alati.
Ebbene, con il suo stile rivoluzionario ormai conosciuto in Roma, Caravaggio accetta il compito, ma decide di presentare la Madonna di Loreto in un modo completamente diverso: non più la regina, con la corona sulla fronte, le vesti preziose, la postura solenne; bensì una popolana, una persona che viene incontro sulla porta di casa e accoglie nell’intimità di un ambiente, quasi una sorella che si affaccia sulla realtà della vita quotidiana. Maria, in tal modo, si avvicina al popolo e si mostra come colei che ne ascolta la preghiera, che fissa lo sguardo sulle reali condizioni di un’umanità stanca e affaticata, che si protende con dolcezza per donare il divin Figlio, talmente “pieno” di grazia e di verità che quasi sfugge alle sue braccia materne.
Il nostro sguardo si ferma incantato di fronte ad un’opera così semplice e sublime. Il cuore si apre ad una speranza ancora più grande se prendiamo in considerazione alcuni particolari che il Caravaggio, di solito estremamente sobrio, ha ben evidenziato.
Infatti, notiamo immediatamente i piedi dell’uomo, perché sono in primo piano ad altezza d’occhio dell’osservatore, e la cuffia della donna, colpita dalla luce che proviene dall’alto. I piedi sono fangosi, perché carichi di terra, di quella terra che accompagna il nostro cammino anche quando è un cammino spirituale. L’atto di inginocchiarsi davanti alla Vergine e a Gesù, perciò, non è solo il gesto di un momento, ma è l’espressione di una vita ormai giunta alla tarda età. La terra indica povertà, essenzialità, umiltà. Ai piedi sporchi e gonfi del pellegrino fa da contrasto il candore dei piedi della Vergine e di Gesù: la salvezza donata da Cristo in comunione con sua Madre è offerta precisamente a “questo” mondo contaminato visto nella sua concretezza. La cuffia dell’anziana donna, a sua volta, è logora e consunta, dettaglio che sottolinea ulteriormente la sua condizione di precarietà e di indigenza.
Va notato che soprattutto questi particolari “pauperistici” destarono sorpresa e sconcerto. Lo riferisce, ad esempio, Giovanni Baglione, uno scrittore dell’epoca anche egli artista, quando scrive che il pittore fece «una Madonna di Loreto ritratta dal naturale con due pellegrini, uno co’ piedi fangosi, e l’altra con una cuffia sdrucita, e sudicia». Si aggiunga che i piedi dell’uomo coincidono praticamente con la mensa dell’altare, sul quale si celebrava il santo sacrificio eucaristico: lo scandalo era garantito!
È evidente, invece, da questa come da altre sue opere, che il Caravaggio prende le distanze da quel trionfalismo che caratterizza il suo secolo. In lui la forza dell’arte barocca non consiste in un’esuberanza di decorazione, ma in un approfondimento del realismo. Egli sembra dire che non c’è bisogno di creare dei simboli, perché la realtà stessa, anche quella più modesta e di poco conto, è simbolo della gloria di Dio e dell’esperienza umana. In tal modo il pittore, ingiustamente considerato “maledetto”, si pone in piena continuità e sintonia con quanto era stato stabilito dal Concilio di Trento, concluso da appena un quarantennio, in materia di arte sacra.
Straordinaria è la bellezza di Gesù e di Maria, rivestita con abiti dai colori tradizionali: il rosso della veste, l’azzurro del manto e il bianco del velo. L’artista, però, di fronte alla tradizione non si limita a ripetere, ma tende a rinnovare, per collocare la tradizione all’interno del linguaggio contemporaneo e così darle nuova linfa. In tal modo neppure la tradizione lauretana viene dimenticata, ma rinnovata: infatti la posizione delle gambe e dei piedi di Maria, molto instabile, come se lei fosse giunta in volo in quel momento, ricorda appunto il volo della Santa Casa sulle colline marchigiane.
Questo senso di movimento è ulteriormente evidenziato dall’insieme della composizione, che si svolge lungo alcune linee principali: una linea diagonale che parte dalla testa del Bambino, continua lungo il corpo e la gamba sinistra, si congiunge alle mani dell’uomo inginocchiato e si conclude al piede destro di quest’ultimo, attraversando praticamente tutto il quadro; a questa linea fanno da contrappunto quelle dei due bastoni dei pellegrini, che si svolgono in direzione opposta; infine le due linee rette formate dalla soglia e dallo stipite completano il movimento formando quasi un ventaglio. Pertanto questo che può sembrare uno spazio angusto (e molto piccola è anche la Cappella Cavalletti) grazie al dinamismo delle linee compositive tende a dilatarsi, comunicando all’osservatore un senso di libertà, di apertura, di gioia.
A distanza di quattro secoli, noi contempliamo questo capolavoro e vi scorgiamo la manifestazione non solo della bellezza stilistica, ma anche e soprattutto di quella profonda comunione che unisce la Madre di Gesù a tutti noi.
Viandanti e pellegrini «in questa valle di lacrime», esuli dalla nostra vera patria, soprattutto nell’anno del Giubileo invochiamo Maria che, nella realtà di tutti i giorni, ci venga incontro alla porta della sua casa e ci conceda di abitare per sempre con lei e con il suo figlio Gesù.
Vincenzo Francia