DOVE L’ARTE CERCA L’OLTRE (Prima Parte) – Intervista alla pianista Alessandra Pompili

Tra il 21 e il 27 novembre 2021 si è svolta la Seconda settimana dei Centri Culturali Cattolici della Diocesi di Milano dal titolo “Come lievito… per dare pienezza alla vita”.

L’UCAI di Milano ha aderito proponendo una conversazione sull’arte tra quattro artisti condotta dalla Prof. Angela Bonomi Castelli.

Angela Bonomi Castelli   Abbiamo titolato “Dove l’Arte cerca l’Oltre” proprio con l’idea di essere uniti in questa ricerca che tutti gli artisti fanno. La storia insegna come gli artisti di tutte le discipline artistiche siano stati i più sensibili testimoni del loro tempo. Questa sera vorremmo sentire la voce di alcuni artisti dell’oggi cercando di mettere a fuoco la loro ricerca dell’Oltre. Ci piace l’idea di provare ad indagare la vita di un artista che è una pagina bianca. È come entrare in questa pagina cercando di capire come è stata scritta la loro avventura umana, artistica e soprattutto spirituale.

Iniziamo con Alessandra Pompili, musicista, l’unica donna tra gli artisti coinvolti questa sera.

 

La pianista Alessandra Pompili

 

Alessandra Pompili è nata a Roma, ma abita a Manchester.  Laureata in archeologia all’Università La Sapienza ha conseguito anche un dottorato in Storia dell’arte.  Diplomatasi  giovanissima in pianoforte con il massimo dei voti presso il Conservatorio dell’Aquila col M.° Sergio Calligaris si è perfezionata con Arnaldo Graziosi, Luigi D’Ascoli e Marcella Crudeli e ha ottenuto il primo premio presso l’École Normale de Musique de Paris “Alfred Cortot”. Ha tenuto concerti in Italia, Gran Bretagna, Ungheria, Islanda e negli USA con successo di pubblico e critica. Divulgatrice delle composizioni di Sergio Calligaris e di Alan Hovhaness, dal 2006 incide stabilmente come solista per Radio Vaticana con cui collabora dal 2009 anche per produzioni musicali su Hovhaness, Liszt e Rota.

Componente del Comitato dei garanti della rivista UCAI “Arte e Fede” a Milano, per iniziativa dell’UCAI, ha tenuto concerti presso la Casa di riposo per artisti “Giuseppe Verdi”.

ABC.  Alessandra è collegata con noi dall’Inghilterra e la ringraziamo di essere con noi. A lei la domanda che poi faremo anche agli altri artisti in relazione alla loro forma d’arte.

I suoni e la musica nascono con il mondo, come è entrata la musica nella tua vita?

 

Innanzitutto ringrazio l’UCAI nelle persone di Angela Bonomi Castelli e di Gian Battista Maderna per l’occasione di ritrovarci ancora insieme, anche se a distanza. Bene. Io non vengo da una famiglia con un pedigree musicale. Tuttavia ricordo che con mia mamma ascoltavamo la musica di Radio 3, e alle elementari la suora le consigliò di farmi studiare musica perché avevo una voce non bella, ma intonata. Nessuna pianificazione di studio, però, fino ai quindici anni.  A quell’età mia mamma pensò che potesse essere buona cosa che provassi a fare qualche esame al Conservatorio. Lì dal punto di vista dello studio è iniziata una pianificazione. A quindici anni ho dato il primo esame, il diploma l’ho fatto a 19 anni.

In quattro anni ho dato tutti gli esami. Questa la mia storia, ma la domanda di come sia entrata la musica nella mia vita è pertinente. La musica è “entrata”, non l’ho scelta io, è entrata lei. È entrata per vie traverse, però devo dire che dal momento in cui ha iniziato ad incunearsi per me è stato subito chiaro che esisteva un coinvolgimento non solo emotivo, ma anche intellettuale. Posso dire che per me ci sono diverse musiche che accompagnano i diversi momenti della mia giornata. Se ascolto musica classica o musica strumentale io non posso fare altro. Non posso studiare, non posso leggere, tantomeno posso guidare perché divento un pericolo pubblico – non posso fare qualsiasi altra attività. Devo ascoltare. Molto attentamente. Non riesco a far altro.

Altri tipi di musica posso relegarli al sottofondo, alla colonna sonora: può essere la musica pop, la rock o anche la heavy metal. Poi ci sono altri tipi di musica che invece nella mia vita proprio non entrano: per esempio la musica jazz. Per cui quando si tratta di musica, ogni stile di musica assume un ruolo diverso nella mia vita.

ABC Grazie. Questo aspetto dell’ascolto è molto interessante. L’ascoltare, il concentrarsi nell’ascolto che poi si ripercuote in tanti altri momenti della giornata. Bene. Nutre la mente solo ciò che la rallegra, dice S. Agostino.

Come definiresti la dimensione interiore spirituale di gioia che porta la musica?

L’hai già in parte accennato, ma questa gioia profonda mi sembra attraversi tutta la tua giornata nelle diversità musicali.

 

AP   Sì, giusta la frase di S. Agostino, ma poi lui temeva anche l’effetto inebriante della musica. Specialmente della musica sacra, perché temeva che la musica potesse distogliere l’ascoltatore dalla lode nei confronti del Signore. La musica ha questo potere, qualcosa di misterioso, di quasi intangibile del modo in cui ci tocca. Se vogliamo fare qualche raffronto con le arti, ad esempio le figurative, che dipingono generalmente attraverso i volti, i gesti, in un certo senso inducono delle sensazioni – e questo è ancor più valido per la narrativa dove esiste l’intreccio, la psicologia dei personaggi; ecco, se vogliamo fare un raffronto con la musica, tutto questo non c’è. La musica non ha un referente prestabilito. Non parlo ovviamente dell’opera o della musica vocale. Pensiamo invece alla musica strumentale, anche alla musica orchestrale: non ha un referente. Si riferisce solamente a sé stessa. Quando si dice che la musica ha un linguaggio universale è vero, però ancor più – e questo mi sembra che non si sottolinei abbastanza – ha un linguaggio particolare perché ogni volta parla a me, a lei, a lui, parla a ognuno di noi in maniera completamente differente, in maniera completamente nuova. La musica è come un fiume che fluisce e non si può catturare: questa è la gioia della musica, è quella di un’arte che anche da ascoltatore dice qualcosa a me, ma come la suggerisce a me la suggerisce diversamente a lei, a lui, a chiunque altro. E’ un’arte mia, in qualsiasi momento è un’arte mia.

 

ABC Questo vuol dire che secondo il nostro background noi riusciamo a sentire, a percepire la musica in un modo diverso. E’ una questione anche di preparazione e di immersione personale all’interno della musica.

 

AP   Sì, però ciò fa sì che forse più di ogni altra arte, alla fine, la musica diventa qualche cosa di mio, qualcosa che io “posseggo”.

 

ABC   Sì, la incameri dentro di te.

 

AP   Sì, e non solo come esecutore, ma anche come ascoltatore.

 

ABC   L’artista sia da compositore sia da interprete come esprime con le note la tensione verso l’Oltre? 

 

AP   È una domanda che credo abbia molto a che fare con quello che è il percorso personale del compositore: come il compositore concepisce il suo lavoro, o come il lavoro rispecchi in un certo senso il proprio percorso umano. Noi abbiamo degli esempi storici estremi. Ad esempio Brahms che scrive di percepire talvolta la musica come se gli calasse dall’alto, da qualche entità soprannaturale. Egli scrive che i temi non solo gli vengono presentati, ma gli vengono presentati perfettamente non solo nella melodia, ma anche nell’armonia, quasi in uno stato di semi trance; e questo è vero anche per quel compositore che veniva citato prima: Hovhaness.  Hovhaness scrive di melodie angeliche che prova a mettere su carta ma non sempre riesce. Poi ci sono anche quei compositori che decidono di non volersi esprimere per quanto riguarda l’Infinito. Uno è Franz LisztQuando scrive la sua sinfonia Dante dovrebbe scriverla in tre movimenti: Inferno, Purgatorio, Paradiso. E purtuttavia ne scrive solamente due: Inferno e Purgatorio, non il Paradiso; scriverà invece un Magnificat perché a seguito di conversazioni con Wagner, che tra l’altro era suo genero, decide che non è possibile rappresentare musicalmente un soggetto che è talmente fuori dalla percezione umana con mezzi del tutto umani.

Io non sono compositrice, sono interprete, quindi per me vale un discorso diverso: vale ciò di cui parlava Vladimir Horowitz, ossia che “dietro le note si cela una storia” e l’interprete deve cercare di capire qual è la storia, perché lo spartito non è altro che un mezzo astratto e piuttosto rozzo per fissare un’idea, è soltanto un punto di partenza.

Allora per quanto mi riguarda io ho due vie che generalmente adotto: la via dell’architettura per cercare di comprendere qual è quella del brano, la sequenza delle frasi sia nella loro architettura interna sia nel loro rapporto con le altre frasi, ma poi per me c’è anche una questione fondamentale che è quella del silenzio.

La musica si pone come rottura del silenzio: nasce dal silenzio e poi si dissolve nel silenzio, ma anche all’interno della musica esiste il silenzio, cioè la distanza tra una nota e un’altra. E’ proprio in questo spazio che noi dobbiamo cercare, e questo è un lavoro che è sempre in divenire.

 

ABC Grazie Alessandra. Interessante anche questa posizione dell’esecutore che ne evidenzia la dimensione umana e spirituale.  E’ utile comprenderla anche da parte di chi ascolta musica. Ora un’ultima domanda:

Qual è l’atteggiamento del musicista cristiano che si pone con spirito di apertura verso sensibilità spirituali differenti?

 

AP   Penso che l’artista, il musicista possa svolgere un ruolo del tutto privilegiato e questo perché la musica può unire intorno a dei concetti, se vogliamo, universali: la pace, il dialogo, la coesistenza, anche il superamento di alcune criticità del passato, però nel far ciò credo che l’artista debba sempre avere la consapevolezza della propria identità. Il dialogo non dovrebbe essere una sorta di calderone simil-sincretistico, perché quando io ho la consapevolezza di ciò che sono, dei miei valori, solo in quel momento posso rapportarmi all’altro, vederne le differenze e scoprirne le similarità. Questo è ancor più vero perché nell’ Occidente la religione ha un certo ruolo che le abbiamo ritagliato e che si è anche auto-ritagliata; in altre culture, però, la religione ha un ruolo molto più pervasivo all’interno della vita delle persone e quindi anche dell’artista, ed è in grado di interagire sui comportamenti, sugli stili di vita e sulle abitudini. Per questo metto l’accento sulla questione identitaria. Poi, in forza di questi valori universali l’arte è in grado di spingersi molto più avanti rispetto a certe tavole rotonde – senza voler fare alcuna critica. Pensiamo, ad esempio, ad alcuni dei concerti che furono promossi da Giovanni Paolo II: il concerto per la commemorazione della Shoah, il concerto per la riconciliazione. Quando l’arte si riveste di uno scopo programmatico diviene portatrice di un messaggio e finalmente riusciamo a svincolarla da quella finalità dell’intrattenimento in cui qualcuno vorrebbe rinchiuderla. In questo senso noi artisti abbiamo una responsabilità e una missione.

 

ABC Grazie Alessandra.

 

UCAI  sez. Milano

 

La pianista Alessandra Pompili