«Guardate i gigli dei campi …»

I cristiani di ogni generazione, sono chiamati a percorrere questo cammino:

«… come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti;

come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!»

 

                                   La Madonna dei gigli di Gaetano Previati

 

Gaetano Previati nasce a Ferrara nel 1852 e muore a Lavagna in Liguria nel 1920. La sua vita e la sua attività si svolgono a cavallo dei due secoli, periodo nel quale, sotto l’aspetto artistico, valori e sensibilità del romanticismo si riassumono e si intrecciano con le inquietudini della modernità. Questo periodo storico è diventato celebre con il nome di belle époque: un’epoca bella, caratterizzata dall’assenza di guerre in Europa e da un notevole sviluppo scientifico e sociale, proiettata verso un progresso ritenuto illimitato, scintillante per la mondanità che si respira soprattutto a Parigi e che dalla capitale francese si riversa in tutto l’Occidente. Un quarantennio ricco di straordinarie realizzazioni tecnologiche: basti pensare ad alcune grandi invenzioni, quali l’illuminazione elettrica, il cinema, la radio, l’automobile, … tutte realtà che ancora oggi fanno parte della nostra vita quotidiana. Un quarantennio ricco di ottimismo, che naufragherà nelle trincee della prima guerra mondiale.

Previati iniziò a respirare questo clima, che seppe interpretare con spiccata originalità. Infatti, dopo una prima adesione ad uno stile prevalentemente accademico, si aprì ad un nuovo linguaggio pittorico, tale da rendere sulla tela il dinamismo che la modernità comportava. A Milano, dove si era trasferito, si accostò agli ambienti dell’avanguardia pittorica e iniziò a sperimentare la tecnica del “divisionismo”. Questa consiste nello scomporre (appunto, dividere) l’immagine attraverso singole pennellate  come fili luminosi, stesi parallelamente e in modo fitto. In tal modo la linea e la luce diventano le vere protagoniste della scena.

L’orientamento del pittore nei confronti della belle époque non si esaurì solo in una questione di stile, ma interessò anche i soggetti ai quali decise di applicarsi. A differenza di altri insigni colleghi che divennero i cantori della vita mondana parigina, soprattutto Giovanni Boldrini e Federico Zandomeneghi, egli posò il suo sguardo sulla natura, sull’intimità della vita familiare e sul mondo religioso, soggetti che seppe rendere come permeati di mistica spiritualità.

Il dipinto raffigurante la Madonna dei gigli è altamente espressivo di questo stile e di questa visione della vita. L’opera, un olio su tela, fu presentata all’Accademia di Brera di Milano nel 1894; in seguito fece la sua comparsa in diverse altre mostre in Italia e all’estero e attualmente è custodita nella Civica Galleria d’Arte Moderna del capoluogo lombardo.

L’immagine si distingue per un armonioso equilibrio, una forte connotazione emotiva, una spontanea carica simbolica. Osservandolo, si percepisce immediatamente la sincera aspirazione del Previati alla contemplazione della natura e del mistero cristiano che, anche attraverso la natura, si manifesta.

In una lettera del 1894 ad un fratello, il pittore parlava del quadro in questi termini: «Vado accarezzando il pensiero che non trovo di meglio di intitolarlo Luce». Ed effettivamente la luce attraversa intimamente la composizione, vibrando attraverso i filamenti della materia, adattandosi ad un andamento ritmico e creando una visione complessiva soffice e sfumata. La fonte luminosa è posta alle spalle della Madonna: Maria, perciò, dovrebbe apparire in penombra; il dipinto, invece, la mostra sfolgorante, alludendo ad un significato che va al di là del chiarore naturale. Quella è luce di grazia e di rivelazione, vittoria sulle tenebre del peccato e della paura, irradiazione di verità e di amore.

Il soggetto religioso in rapporto ad un paesaggio è uno dei temi ricorrenti in tutta la storia della pittura, in modo particolare nell’arte del rinascimento. E la Madonna dei gigli risente di questa impostazione classica. Lo schema compositivo è tradizionale e in esso l’elemento vegetale, costituito soprattutto dalla corona di gigli («complicati di forma», scrive il Previati), gioca un importante ruolo simbolico.

Nella storia pittorica, il giglio appare moltissime volte in rapporto alla figura di Maria, in modo particolare nelle scene dell’annunciazione. In quel contesto questo fiore intensamente profumato allude con il suo candore alla purezza della Vergine e al profumo delle sue virtù.

Ma già in quelle stesse raffigurazioni si affacciano altri significati. Nel Cantico dei Cantici lo sposo presenta se stesso come «un giglio delle valli» (2,1) e la sua amica «un giglio tra i rovi» (2,2): dunque il bellissimo fiore può significare anche lo stesso Gesù, lo Sposo, e l’Immacolata Concezione, quel giglio che, pur vivendo tra le spine della colpa, non è ferito da esse.

Un ultimo contenuto che può essere significato dal giglio è la povertà evangelica. Come non ricordare le rasserenanti parole di Gesù: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neppure Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,28-29). Sulle labbra del Maestro questi fiori assurgono al ruolo di testimoni di fede e di attivo abbandono alla divina provvidenza. Proprio questo è la povertà.

La povertà si presenta ai nostri occhi sotto molteplici aspetti. Immediatamente percepibile è la povertà economica, cioè la mancanza di beni essenziali. Ma non vanno tralasciate altre forme di indigenza: la povertà sociale di interi gruppi emarginati nel degrado, quella fisica legata alla malattia, quella psicologica di fronte alle sfide dell’esistenza. C’è una povertà morale, conseguenza e premessa del peccato. E la povertà definitiva: la morte.

Gesù visse da povero, in una dipendenza radicale dal Padre, in una totale libertà nell’adempimento della sua missione, in un progressivo distacco dai beni materiali e nella condivisione con gli altri. Il suo stile di vita umile, semplice e disponibile al servizio fu pienamente assimilato da Maria, la serva del Signore. Anche i discepoli di Gesù, i cristiani di ogni generazione, sono chiamati a percorrere questo cammino: «… come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (II Cor 6,10).

Gesù ha prediletto i poveri, ha invitato a diventare poveri, ha lasciato agli apostoli il comando di predicare in povertà («Non procuratevi né oro né argento né denaro nelle vostre cinture …»: Mt 10,9) e, soprattutto, ha insegnato a desiderare i valori più importanti: «Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33), che è la frase che conclude l’esempio dei gigli.

Così nell’opera del Previati la pura bellezza della luce si incontra con il candore della semplicità e insieme concorrono a creare un’immagine di Maria e del Bambino di assoluta purezza, come una visione sfolgorante.

Ma anche il buon Salomone, nonostante l’amabile battuta rivoltagli da Gesù, aveva intuito qualcosa. Infatti, come racconta il I Libro dei Re (7,19), i capitelli delle colonne del tempio da lui costruito erano a forma di giglio. Perciò, per costruire nei nostri cuori un tempio al Signore della gloria, sarà necessario mettere in atto quei valori che questo fiore annunzia.

 

Vincenzo Francia