I Cristi del Beato Angelico

Beato Angelico, Cristo crocifisso, 1425 circa. Vienna, Graphische Sammlung Albertina

 

 

Nell’ambito dell’arte sacra, il primo Rinascimento fiorentino produsse il maggiore interprete di tutti i tempi: fra Giovanni da Fiesole, noto come ‘Fra Angelico’ o ‘Beato Angelico’, un religioso Domenicano che conosceva dal di dentro i misteri della fede che era chiamato a dipingere. “Spese tutto il tempo della sua vita in servigio di Dio e benefizio del mondo e del prossimo”, dirà Giorgio Vasari nella sua Vita dell’artista, pubblicata nel 1550. Vasari lo presenta, infatti, come modello per i religiosi e ‘gli ecclesiastici’ in genere: uomo di “somma e straordinaria virtù”, “di santissima vita”, “semplice uomo e santissimo ne’suoi costumi”, “umanissimo e sobrio”, il quale “non arebbe messo mano ai pennelli, se prima non avesse fatto orazione” e “non fece mai crocifisso che non si bagnasse le gote di lagrime”.  Sempre secondo il Vasari – tanto più attendibile in questo caso, quanto meno abituato a parlare in simili termini (che deve aver attinto dalla tradizione interna delle botteghe fiorentine) – l’Angelico soleva affermare “che chi faceva quest’arte, aveva bisogno di quiete e di vivere senza pensieri; e che chi fa cose di Cristo, con Cristo deve stare sempre”.

 

Chi fa cose di Cristo, con Cristo deve stare sempre’: ecco una chiave di lettura fondamentale dell’arte di questo maestro. L’Angelico, che faceva solo soggetti sacri – ‘cose di Cristo’ – stava sempre con Cristo. Membro del ramo riformato dell’Ordine – la così detta ‘Osservanza’ – e diacono, la sua santità è stata riconosciuta dalla Chiesa, che nel 1984 l’ha dichiarato formalmente e non solo popolarmente ‘beato’.  Dipingeva ‘cose’ – eventi, persone, soprattutto la persona Cristo – in base all’intima conoscenza di chi cerca di ‘stare sempre’ con il promesso Sposo del cuore umano, l’atteso delle nazioni, l’Agnello di Dio che è anche il Sole di Giustizia. Per capire l’Angelico, infatti, bisogna rientrare in queste categorie, in questo linguaggio esprimente al contempo intimità e universalità, mitezza e grandezza. Per dare un giusto peso ai colori solari, alla bellezza purissima, agli sguardi carichi di brama spirituale, bisogna riscoprire l’ardore e l’innocenza del contemplativo. Bisogna alzarsi presto, recarsi all’alba al sepolcro, piangere il Cristo morto, riconoscere la sua voce pronunciare il nostro nome, cogliere il profumo sprigionato dal suo piede sull’erba bagnata nel fresco mattutino…

 

(L’articolo integrale sarà pubblicato nel prossimo numero della nostra rivista ARTE e FEDE)

Timothy Verdon