La Madonna della Pace del Pinturicchio
L’immagine di Maria attraversa tutti i secoli della vicenda cristiana,
con risultati molte volte strabilianti per bellezza e profondità. Così, se il
rinascimento costituisce uno dei sommi vertici culturali ed estetici della
storia, è evidente che anche l’iconografia mariana troverà negli artisti
dell’epoca alcuni suoi eccezionali interpreti. Uno di questi è certamente
Bernardino di Betto detto il Pinturicchio
Se, come dice Orazio, qualche volta anche il buon Omero
sonnecchia, possiamo aggiungere che qualche volta anche il buon Vasari
prende un abbaglio. Giorgio Vasari è uno di quegli autori dai quali è
impossibile prescindere quando si studia l’arte italiana del rinascimento, in
sostanza da Giotto a Michelangelo. Ebbene, quando parla del Pinturicchio,
il suo giudizio è molto ingeneroso: «Pinturicchio da Perugia» – scrive –
«ancorché facesse molti lavori e fusse aiutato da diversi, ebbe nondimeno
molto maggior nome che le sue opere non meritarono», per concludere che
«soddisfece assai a molti principi e signori, perché dava presto le opere
finite, siccome desiderano, sibbene per avventura manco buone, che chi le
fa adagio e consideratamente». Insomma: più famoso che bravo e più
superficiale che preciso. Il buon Bernardino, insomma, ne esce fuori
abbastanza “ammaccato”.
Ma, a parziale risarcimento, potremmo scorgere in un suo dipinto i
segni del capolavoro e la profondità di un messaggio. Ci riferiamo alla
Madonna della Pace (fig. 1), attualmente custodita nella Pinacoteca Civica
di San Severino Marche (MC). Discepolo del Perugino, il pittore si applicò
al quadro per incarico di Liberato Bartelli che voleva offrirlo al duomo di
San Severino. Il Bartelli, infatti, risiedeva a Roma in qualità di protonotario
apostolico presso la Santa Sede, ma era originario della cittadina
marchigiana. Il risultato del lavoro, completato nel 1490, è un olio su tavola
di intensa efficacia comunicativa e di straordinaria forza poetica.
Il soggetto è, se così possiamo esprimerci, molto comune, quasi
ordinario: è la Vergine e Gesù bambino accompagnati da due angeli con il
ritratto dell’offerente. L’opera è dolcissima, perfettamente equilibrata tra
una visione di insieme tipicamente italiana e la ricerca dei più minuziosi
particolari, espressione dell’arte fiamminga.
Il gruppo di Maria e il Bambino costituisce l’asse centrale, che si
connette visivamente con l’immagine di Dio Padre nella cimasa. Attorno a
questo asse si definisce lo spazio, simmetricamente occupato da due angeli
e, in lontananza, dall’ambiente naturale. Maria appare giovanissima, poco
più che adolescente, seduta con Gesù sulle ginocchia. Il pittore rispetta i
colori tradizionali con cui si definisce la figura mariana, cioè il rosso della
veste e l’azzurro del manto, mentre un leggero velo bianco le circonda la
fronte. L’azzurro riecheggia anche nel manto del divino Infante e gli copre
un’elegante tunica bianca, degna di un imperatore romano. Grande trionfo
della luce, che gioca tra le pieghe delle vesti, sull’incarnato dei personaggi
e sui biondi riccioli di Gesù; luce trasparente, diafana, che attraversa le
aureole dei santi personaggi, compresi i due angeli, e permette di vedere il
paesaggio in secondo piano.
In ginocchio, sulla destra, osserviamo Liberato Bartelli. Splendido è
il tocco di realismo che Pinturicchio inserisce in questa scena quasi
fiabesca: basti notare la vena gonfia del collo dell’uomo inginocchiato,
come pure l’altra vena che pulsa sulla sua tempia, e le rughe che iniziano a
solcargli le gote, la consistenza plastica della figura. Maria regge il
Bambino sopra un cuscino di raso e lo dona con affetto materno, mentre
Gesù benedice il committente. Gli angeli, biondissimi a loro volta e ricchi
di gemme preziose, assistono a questa piccola “liturgia domestica”: uno
volge lo sguardo agli osservatori quasi a invitarli a prendere parte alla
scena, l’altro china gli occhi e congiunge le mani sul petto in atto di
preghiera silenziosa e raccolta.
Tutto è calmo, tutto è sereno. In una parola: tutto è pace. Compreso il
limpido paesaggio, con le sue colline, il piccolo borgo sulla destra, la
campagna, gli agili alberelli slanciati in alto a sfondare la cornice, la
composizione rocciosa sotto la quale si avvia un gruppo di cavalieri. Un
pulviscolo come dorato si diffonde in tutta l’atmosfera, brillando nei volti,
nelle chiome, nelle bordature delle vesti, perfino sulle foglie degli alberi.
In questa mirabile fusione di realismo e di idealità non appare la
minima presenza del male, della violenza, dell’aggressione.
È questa la pace? Certamente è anche questa. Ma non basta l’assenza
della guerra. Il Pinturicchio ci dice che la pace è la piena armonia di tutti
gli esseri. E propone un grande simbolo: il globo, cioè la sfera, figura
geometrica senza angolosità, simbolo di perfezione e di uguaglianza,
perché tutti i suoi punti hanno la stessa distanza da un centro. Dunque quel
globo, che vediamo nella mano dell’Eterno Padre in alto nella cimasa,
risplende come cristallo nella mano di Gesù.
Ecco la pace: il disegno che Dio ha impresso al creato viene
recuperato e reso limpido dall’incarnazione del Figlio nel grembo di Maria.
Il protonotario apostolico in preghiera è il rappresentante di tutti noi.
Maria, Regina della pace, dona al mondo Gesù “nostra pace”!
Vincenzo Francia