Il “meglio maestro d’Italia”, così lo definiva nel 1500 il banchiere Agostino Chigi. A 500 anni dalla morte Perugia lo celebra con una eccezionale rassegna. Dal 4 marzo all’11 giugno 2023.
È il pittore dell’incanto. Osservando un lavoro come il Trittico Galitzin da Washington (1482-1485) con il Crocifisso tra Maria e Giovanni e ai lati la Maddalena e Girolamo, i classici santi penitenti, si rimane con l’anima perduta nell’estasi. Ma non una estasi furente o trasumanata, bensì naturale, calma. Cieli sconfinatamente pallidi, fiori primaverili, spazi che reclamano l’infinito, e poi rocce, arbusti, laghi, città: un mondo bello così com’era alla creazione, e come vorremmo fosse ancora. Il Cristo è un corpo armonioso, delicato, dorme, non soffre, anche Maria raccolta in sé stessa e Giovanni in preghiera non hanno nulla di affettato, di devozionale: sono creature belle, serene. Il dolore, se c’era, è stato superato. Nell’arte sacra del Perugino si è sempre nella realtà vista dall’ottica della resurrezione. Certo, dietro la poetica di Pietro (1450 circa – 1523) ci sono Angelico, Verrocchio, Piero della Francesca. Ma ora sugli anni Ottanta del ‘400 lui è sé stesso. Libero.
Ecco allora le tavole fiorentine. Il Compianto con il Cristo steso e contemplato dai santi sullo sfondo di una architettura leggera e forte, ecco le pale con la Vergine e i santi, frontali, purissime, e poi le Madonne da cui Raffaello imparerà: bellezze giovani dalle linee regolari, volti pieni e pacificati, religione pacata, affettuosa. Se dovessimo definire con un tempo musicale l’arte di questo maestro che ha fatto scuola in Italia – e la rassegna lo dimostra con opere dal Veneto al Piemonte, dall’Emilia alla Campania -, diremmo che è un “Largo”. Una musica corale espansa, tranquilla, dove ogni nota, cioè ogni sentimento, è piena e lieve; ogni strumento – i personaggi, i colori – è caldo e limpido, dove l’impaginazione architettonica e spaziale – l’orchestra – è sinfonia, cioè unità.
E veniamo alla tavola dello Sposalizio della Vergine, che torna dopo decenni in Italia dal museo francese di Caen (1500-1504), sorella e ispiratrice della tavola omonima di Raffaello a Milano (Brera). Il confronto fra il ventenne di Urbino e il maturo Pietro è interessante. Sanzio certo ricorda Pietro, ma è vaporoso, “umano”, più piccolo però. Pietro è vasto, grandioso – il pittore lavora spesso in monumentali pale d’altare -, ripete lo stile della fila dei personaggi quasi astratti e l’immancabile tempio frontale, da solo un personaggio grandioso in quello spazio che si indovina immenso e che è in sé stesso la” bellezza assoluta”, presentata a noi in colori di una densità luminosa affascinante.
Come quel capolavoro assoluto che è l’affresco della Consegna delle chiavi nella Cappella Sistina, voluto da papa Sisto IV (1482). Uno spazio grandioso ma ben delimitato dalle architetture classiche sul fondo e dall’orizzonte. Tutto è misurato, ampio, solenne e semplice. Il focus è nel gesto di Cristo e in Pietro inginocchiato, monumentale. Poi gli apostoli e i personaggi contemporanei, fra i quali lui, il pittore, robusto, tanti capelli, un berrettaccio, lo sguardo compiaciuto verso di noi. Arte cattolicissima, manifesto dell’autorità papale, politica dell’immagine e teatro del sacro. Arte limpida, colori lucenti, grande dignità umana, e senso della storia quasi come una epifania. Sopra tutto, armonia suprema. È la cifra di Pietro, che tanti artisti si porteranno dietro, il Francia, il Costa, Macrino d’Alba, Gaudenzio Ferrari, i Luini, il Sodoma, oltre a Raffaello.
Perugino rimane grande anche negli ultimi anni (morirà di peste nel 1523), anche quando sembrerà superato dai cinquecentisti. Ma se si osservano gli affreschi alla Scuola del Cambio a Perugia (1500) o quelli con Raffaello nella Cappella di San Severo, si nota il prodigio di un artista anziano e sanguigno (si veda l’autoritratto) che punta ad una arte ormai rarefatta, astratta, in punta di piedi: è la danza della bellezza che Raffaello riprenderà in altro modo nelle Stanze vaticane nell’affresco del Parnaso. È la grazia, secondo Perugino, la punta estrema del rinascimento quattrocentesco. È una misura, un amore per il respiro del mondo che è solo suo, oltre qualsiasi ombra di tristezza o di dolore. Rimane soltanto la bellezza.
Mario Dal Bello