Il 75° anniversario di fondazione dell’Unione Cattolica degli Artisti Italiani si offre come importante occasione di riflessione sulla natura dell’arte e il ruolo degli artisti in un contesto attuale di contrasti, tensioni e polarizzazione. L’arte dà voce all’armonia e ha nella sua stessa natura la facoltà di esprimersi attraverso un linguaggio universale, che unisce e non divide.
Nella Lettera agli artisti del 1999, dedicata a quanti cercano nuove epifanie della bellezza, San Giovanni Paolo II sottolineava come nella “creazione artistica l’uomo si rivela più che mai immagine di Dio” il quale trasmette “una scintilla della sua trascendente sapienza all’artista umano”. L’uomo nell’azione artistica “trova una nuova dimensione ed uno straordinario canale d’espressione per la sua crescita spirituale” ed attraverso le sue creazioni egli “parla e comunica con gli altri”. Tali affermazioni risultano quanto mai valide e pregnanti oggi, in cui molte manifestazioni artistiche sono caratterizzate da un individualismo talmente soggettivo da potersi dire che non esistono più determinate “scuole” o “correnti”, bensì ogni artista vale per sé stesso e comunica solo sé stesso, come una monade tra altre monadi. Inoltre, le leggi del mercato, oggi più che nel passato, determinano ascese e cadute di artisti in modo rapido, talora confondendo semplici prodotti alla moda come espressioni di bellezza autentica.
Si arriva spesso ad una ‘confusione’ sia del concetto di arte sia del concetto di bellezza, come anche della funzione sociale della stessa produzione artistica. Il ‘solipsismo autoriale’, per cui ogni artista crede solo in sé stesso, presentando soltanto il proprio mondo e affermandone l’esclusività, genera alla fine una molteplicità di visioni autoreferenziali, andando a minare così quella che è la peculiarità dell’arte, cioè di parlare a chiunque, di elevare l’umanità. Ma qual è il tipo di bellezza capace di dire oggi una parola che sia davvero universale a un mondo apparentemente distratto? Cosa possono comunicare gli artisti credenti di fronte alle sfide della modernità, priva di un progetto comune e abbandonata ad una disarmante indifferenza?
L’arte è una vocazione.
Questa affermazione, oggi per nulla scontata, è di fondamentale importanza. Gli artisti, infatti, dovrebbero avere anche la funzione – secondo quanto scrive sempre Papa Wojtyla – di aiutare chi “avverte in sé questa sorta di scintilla divina, che è la vocazione artistica, a non sprecare questo talento, ma a svilupparlo, per metterlo a servizio del prossimo e di tutta l’Umanità”. È proprio questo ciò che è stato fatto da secoli, anche in modo incosciente e non ideologico. Basterebbe solamente pensare alle “scuole” o alle “botteghe” degli artisti del passato dove, nella convivenza con altri e sotto la guida di un maestro, ognuno imparava a liberare il proprio talento e ad affermarlo. Così sono “nati” Michelangelo e Raffaello, di cui quest’anno celebriamo il 500° anniversario della scomparsa.
L’arte è scuola di vita.
Un’unione di artisti, quindi, si pone in primo luogo come “scuola di vita”, capace di dare alla manifestazione artistica quella funzione “sociale” che le è connaturale e al contempo di sviluppare, nelle diverse discipline di questo terreno comune, la “vocazione alla bellezza”. Essa, lungo i secoli, si è manifestata, sia pure attraverso forme talvolta contrastanti, come espressione – talora inconsapevole, ma pur sempre vera – di una superiore, trascendente e universale armonia. Questa “formazione alla bellezza” è un lavoro tutt’altro che facile. Esige, come in ogni vocazione sincera, dedizione, pazienza con sé stessi e con le persone con cui si lavora, umiltà nell’apprendere da chi è più esperto. E soprattutto sacrificio, termine oggi non più di moda ma indispensabile, senza il quale le migliori energie non possono sprigionarsi e la personalità di ciascuno non riesce ad affermarsi con solidità in una sana competizione.
L’arte è progettualità sociale.
In una società oggi dis-armonica non si può tacere il valore pedagogico dell’arte in tutte le sue forme espressive nonché la sua innata capacità di costruire relazioni e vincoli sociali[1]. Appare, quindi, non marginale il compito degli artisti di ri-diffondere l’aspirazione ad una superiore Armonia, “non chiudendo lo spirito al soffio dello Spirito Santo” ma essendo capaci di “rendere sensibile il mondo invisibile”, come affermava Paolo VI nel Messaggio indirizzato all’umanità, al termine del Concilio Vaticano II. Ma non è sufficiente puntare solo sulla ricerca e sullo studio del passato e del presente in questo campo. Se ci si limita soltanto a conservare la tradizionale impostazione dell’arte, essa formerebbe nuove monadi incapaci di incidere sulla società. È nello scambio, nella vita d’insieme, nell’apertura, nella condivisione – quella appunto che si sviluppa nel cenacolo creativo di una unione come la Vostra – che ogni conoscenza, ogni comunicazione interdisciplinare, può essere utile a formare dentro l’animo di ciascuno quel “senso di stupore” con cui comunicare quello che è in fondo la Bellezza, cioè “la cifra del mistero e il richiamo al trascendente”.
L’arte è condivisione e libertà
Si tratta, in altre parole, di provocare – attraverso il contatto e la relazione tra i membri – un’esperienza di scoperta della libertà interiore, capace di confronto pacato, di ricerca di potenzialità personali ancora inespresse ma che attendono di rivelarsi. In definitiva, è indispensabile un percorso comunitario – che può incontrare anche passaggi difficili, resistenze interiori, timori verso il “nuovo” – che diventi liberante, cioè che attualizzi la manifestazione di un senso di bellezza che possa essere comunicato al mondo che ci circonda. L’UCAI è un laboratorio operoso e dinamico in cui ogni artista sviluppa quel sentimento di libertà intima senza la quale egli non può essere sé stesso e trasmettere il meglio del suo spirito, il quale è creatore di novità e bellezza.
L’arte è principio generativo che diffonde speranza.
Paolo VI, nel Messaggio dell’8 dicembre 1965, a conclusione del Concilio, così diceva agli artisti ‘innamorati della bellezza’: “questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno della bellezza per non cadere nella disperazione”. Oggi in effetti la società è in preda ad un buio intenso. Molteplici forme espressive – dalla poesia al cinema, dalla pittura alla musica – lo affermano con evidenza. La luce non riesce a farsi strada e a illuminare pienamente i nostri percorsi. Sembra che il divino, l’eterno, sia come tramontato dietro un orizzonte incupito. Spetta anche agli artisti assumersi il compito di farlo risorgere, se è vero che essi sono, come diceva ancora Paolo VI, “i guardiani della bellezza del mondo”. La loro – cioè la Vostra – è una vocazione alta e impegnativa che esige “mani pure e disinteressate” (Paolo VI) per trasmettere alla società quella “bellezza che è verità”.
Conclusione
Nel Vostro impegno abita un profondo anelito pedagogico perché – come ha ripetuto più volte Papa Francesco – “non si può educare senza indurre alla bellezza, senza indurre il cuore alla bellezza” tanto che “un’educazione non è efficace se non sa creare poeti. Il cammino della bellezza è una sfida che si deve affrontare”[2]. Nel cammino verso un patto educativo globale – indispensabile di fronte a una dilagante frammentazione sociale e culturale – l’apporto degli artisti cattolici è indispensabile per far riscoprire quella sensibilità che apre il cuore al mondo intero, bisognoso di armonia e di speranza.
+ A. Vincenzo Zani
Segretario
Congregazione per l’Educazione Cattolica
[1] F. M. Naranjo Marrero, “Música entre aprendizaje y relación. Construcción de un vínculo social”, Educatio Catholica, Anno V-4/2019, pp. 151-160.
[2] Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno sul tema “Education: The Global Compact” organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, 7 febbraio 2020.