SANTA MARIA
La Madonna della Peste di Guido Reni
Pinacoteca Nazionale di Bologna
Maria è la “tutta santa”, perché in lei il cammino dell’umanità verso Dio si incontra e si intreccia con il cammino di Dio verso l’umanità.
L’apostolo Pietro scriverà nella sua I Lettera (1, 15-16): «Come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo». Così Maria, perfetta discepola del Figlio, più di ogni altra creatura ne riproduce l’immagine, è «la faccia che a Cristo più si somiglia» come la definisce Dante nel Paradiso (XXXII, 85-86).
La santità consiste nel guardare a Gesù, nel condividere le sue scelte, nell’imitare il suo divino esempio e nell’«avere i suoi sentimenti», cioè amare il mondo come lui lo ha amato e vedere la realtà con i suoi stessi occhi. Non si tratta, dunque, solo di compiere una serie di azioni buone, ma si tratta di diventare buoni, permettendo al Signore di operare la nostra interiore trasformazione, affinché, parafrasando una famosa espressione di Paolo, non siamo più noi a vivere, ma Cristo viva in noi. Tutto questo Maria lo ha compiuto nel corso della sua vita, dal concepimento immacolato nel grembo della sua mamma fino alla gloriosa assunzione nella gloria del cielo.
A sua volta la Vergine Maria è il modello di ogni santità nella Chiesa e nel mondo. In lei, Madre di Gesù e Madre nostra, si raccoglie, come in una ghirlanda di fiori, tutto il bene che è diffuso nell’universo. Alla sua scuola impariamo i veri valori, che sono eterni: Maria infatti è l’esempio perfettamente riuscito che ogni uomo e ogni donna è chiamato ad imitare, perché nella Vergine di Nazareth si è rivelata quell’umanità pienamente restaurata che Gesù Cristo vuole realizzare. Il ruolo che Maria svolge in questa opera di salvezza è lo stesso ruolo che ella ha sempre adempiuto accanto a Gesù e ai discepoli di lui. È la grande educatrice dei cristiani: è lei che, concependolo il giorno dell’annunciazione e generandolo umanamente dal suo grembo nella stalla di Betlemme, presenta Gesù al mondo; è lei che indica ai servi cosa fare durante le nozze di Cana; è lei che accompagna la nascente comunità cristiana nell’attesa dello Spirito Santo. Ebbene, è ancora lei che indica a ciascuno di noi e all’intera comunità cristiana e civile il percorso lungo il quale costruire e restaurare una società più giusta e vivibile.
A questo desiderio di ricostruzione, come dopo un’esperienza devastante, si riferisce la Madonna della Peste, solenne dipinto che Guido Reni realizzò nel 1630, proprio in occasione del terribile contagio che interessò molti territori soprattutto dell’Italia cento-settentrionale e della Svizzera: è la celebre epidemia di cui parla anche il Manzoni nei Promessi Sposi. L’opera, oggi custodita nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, è essenzialmente uno stendardo da usare in processione, perciò è dipinto non sul legno ma sulla seta, una base giustamente ritenuta luminosa e resistente.
Il dipinto, notevole già per le dimensioni (è circa quattro metri di altezza per due e mezzo di larghezza), appare grandioso per la sua composizione figurativa.
Lo svolgimento verticale del supporto e della composizione invita l’osservatore ad elevare il suo sguardo dalla misera condizione della terra, devastata da un morbo estremamente letale (gli storici hanno calcolato in oltre un milione le vittime di quell’evento, su una popolazione di circa quattro milioni). Ma, ovviamente, tale disastro, come ogni cosa umana, ha una risonanza anche psicologica, morale, sociale, spirituale: alzare lo sguardo, perciò, sarà una indicazione che coinvolge tutta la sfera dell’umana esperienza.
Impressionante è il senso di pienezza che il quadro suggerisce, un addensarsi di strutture, di linee, di colori, di colpi di luce.
Vi si determinano tre zone visive, di cui quella inferiore quasi sfugge allo sguardo: è lo spazio terreno, oscuro, nel quale è raffigurata la città di Bologna con il triste corteo di carri che escono dalle mura per trasferire in campagna i cadaveri o gli appestati. Le altre due zone sono caratterizzate da una luce crescente, quella che avvolge i Santi Patroni della città, disposti in cerchio e in piani sovrapposti in atto di invocazione comunitaria, e soprattutto il gruppo di Maria e il Bambino. In tal modo, la Regina di tutti i Santi diventa in particolare la Regina dei “nostri” Santi, di quelli che i bolognesi sono abituati a considerare come fratelli e compagni di strada: Petronio, Ignazio di Loyola, Procolo, Francesco d’Assisi, Francesco Saverio, Floriano e Domenico. La simmetria della disposizione non si conclude in una forma statica, ma si esprime nella tensione verso un centro, una pausa di vuoto sormontata dall’arcobaleno. È noto come un tale elemento atmosferico sia il simbolo dell’unione tra cielo e terra, anzi, più precisamente, della pace che si ristabilizza tra cielo e terra, come accadde dopo il diluvio universale nella narrazione biblica. Su di esso Maria, come affacciandosi dall’alto, posa il suo piede.
La drammaticità della scena è equilibrata dall’armonia delle linee, dalla dolcezza del disegno, dalla vivacità dei colori, dai tocchi luminosi che irrompono su volti, abiti, carnagione, fiori e palme.
Maria è circondata da nubi luminose, segno della divina presenza, e da una gloria di angeli, che, mentre la incoronano di un serto di rose, distribuiscono dall’alto petali e corone del santo rosario, con un evidente gioco di significati tra il fiore e la celebre preghiera mariana. Ulteriore indizio di pace e di riconciliazione è il ramoscello di ulivo che Gesù bambino stringe nella mano sinistra, mentre con la destra dona la sua benedizione.
La santità, sembra dirci Guido Reni, è appartenenza a Dio e immersione nel suo mistero. Ma, nello stesso tempo, è profonda partecipazione alle vicende del mondo.
Santa Maria, guarda il dolore di noi tuoi figli oppressi da ogni genere di contagio e asciuga le nostre lacrime.
Vincenzo Francia