L’ascensione di Mark Rothko

 

Pittura di solo colore. Fiammante o cupo o arcobaleno.  Sempre vivo. I muri di colore di un artista “difficile” sono in verità “facili”. A patto che si accetti quello che i grandi artisti desiderano: viaggiare con loro, seguirli, accettare il loro percorso anche quando è scarso di luce. Perché alcune tele di Mark non sono luminose: sono buie. Cupe. La fatica di ascendere verso quella dimensione extra-ordinaria che è l’arte, verso un luogo spirituale che è anima allo stato puro, richiede fatica. Ascesi. Abissi. Sospensione. Negritudine, ed il coraggio di affrontarla, di passarvi dentro come capita a lui nella tela “Senza titolo(Untitled) del 1970 a New York, solo nero e grigio. Il Purgatorio dantesco dove la luce è accennata, grigia, è uno spiraglio nell’oscurità.

Dante c’entra con Rothko. Non a livello voluto, ma sotteso almeno per chi vede nella sua opera un viaggio. È poi il viaggio della vita, la ricerca ansiosa della bellezza che non delude. Può capitare di sperimentare lo stridore, l’inferno della non-essenza, della mancanza di luce, e sono i colori duri del Black in Deep Red del 1967: nero e marrone incupito, ossia parole senza senso, mancanza di stupore. La cosa più terribile per un artista, il non saper più stupirsi, l’aver perso l’incanto e quindi lo scivolamento nel non-senso. Che diventa ripetitività, forme vuote, stridore dell’anima che si è perduta nell’inferno di un amore scomparso. Spasima per ritrovarlo ma lui non risponde. È la notte della bellezza morta.

Ma Rothko non disarma e il viaggio continua fin che la luce poco a poco si apre, basta saper aspettare.  Anche a lungo. E poi ogni volta la gioia brilla piccola ma viva e sono campiture larghe di rosso e di bianco come se si salisse di cielo in cielo fino ad una esplosione di rosso infuocato nel Senza titolo del 1964: la bellezza come fuoco che distrugge ciò che non conta – la bellezza falsa – e lascia in piedi solo la verità. E la verità è l’amore perché per Dante -Rothko la bellezza è una infinita distesa di rosa e bianco nelle ultime opere del 1969: solo amore e luce. La Bellezza è manifesta, si rivela: il colore ne è la parola-non parola che la esprime. Con il suo esistere. E’ Dio?

Il cammino è compiuto, dopo si può anche morire come è capitato a lui. Una morte necessaria per viverci per sempre.

Per viaggiare con lui, andare ora a Parigi alla Fondazione Louis Vitton.

Mario Dal Bello