Luciani  e  l’arte

 

La fede ferrea, la carità continua e operosa verso le persone in difficoltà, la particolare attenzione per il mondo del lavoro unite alla profonda umiltà sono state le stelle che hanno illuminato il percorso di tutta la vita di Albino Luciani.

Sono queste le caratteristiche che bene hanno interiorizzato tutti coloro che hanno conosciuto o stanno conoscendo Giovanni Paolo I, uomo dotato anche di una vasta cultura, di una formidabile memoria, di una penna vivace e di un’arte comunicativa, sia con lo scritto che con la parola, originale e brillante.

Luciani nel Seminario Gregoriano di Belluno, tra le altre materie, fu anche docente di Storia dell’arte e, riferendosi a questa disciplina, sosteneva che è: “Un viaggio meraviglioso che ti porta a vivere nei mondi della bellezza che non finiscono mai … e che ti fa scoprire la scintilla che guida l’artista sotto le vesti dell’uomo.”

 

Spiegava agli studenti come interpretare i capolavori sacri facendoli riflettere sulla relazione tra la bellezza e la verità, tra l’artista e le opere.

In “Illustrissimi” si può leggere la lettera che scrisse “All’ignoto Pittore del castello” nella quale descriveva” … i vostri quattro quadri appesi in quella sala d’angolo, illuminata da piccole finestre gotiche … mi sono piaciuti. La loro fattura artistica modesta; suasivo, invece, il significato morale, che mi ha fatto riflettere” e le pitture diventano pretesto per analizzare le tappe dell’uomo: l’infanzia, l’adolescenza, l’età matura e la vecchiaia.

 

Il tema dell’arte fu presente anche nel periodo veneziano in cui da Patriarca si cimentò in uno studio su Maria nell’opera di Tiziano, una continuazione delle varie ricerche sull’arte del bellunese condotte ai tempi del suo insegnamento a Belluno.

L’arte cristiana vuol mettere il credente a contatto con la Parola di Dio in maniera diretta, la finalità ultima delle opere d’arte è quella di creare un contatto con Dio che si può caratterizzare come preghiera e contemplazione.

Sostiene lo storico dell’arte Ricardi Di Netro di Trieste che nell’epoca attuale c’è scarsa propensione degli artisti di occuparsi dell’arte sacra cristiana, infatti “… la quantità di chiese di nuova costruzione che risultano sprovviste di un qualunque elemento pittorico cela, dietro a presunte istanze di “essenzialità” proprio tale sconfortante fattore.”

 

Luciani visse in prima persona tutte le fasi del Concilio Vaticano II, sensibilizzò con notevole maestria sacerdoti e fedeli della Diocesi allo spirito del rinnovamento. In campo liturgico c’era talvolta la necessità di nuove soluzioni architettoniche e decorative degli edifici sacri, fu particolarmente attento e determinato affinché certe espressioni di arte moderna, di difficile comprensione, non venissero realizzate.

A tal proposito ho il ricordo di una Via Crucis che doveva benedire nella nuova chiesa di un piccolo paese dove c’era un parroco tanto buono, persona semplice ed operosa, con una gran fede nella Provvidenza Divina un parroco che per tanti aspetti ricordava il santo curato d’Ars.

La prima pietra della chiesa fu benedetta dal vescovo Zaffonato e nel 1958 il vescovo Carraro aprì al culto il nuovo edificio.

Il parroco si pose quindi   il problema di dotare la chiesa di una Via Crucis. Incaricò di realizzare le quattordici stazioni ad un pittore che conosceva e, una volta completata l’opera, invitò mons. Luciani per la benedizione.

 

Arrivò il giorno fissato per la cerimonia, il vescovo chiese di vedere in anteprima le pitture ed il parroco, con un certo orgoglio, lo accompagnò in chiesa.

Mons. Luciani cominciò a guardare i quadri ad uno ad uno mentre con la mano sinistra faceva girare e rigirare l’anello che teneva sulla destra, il volto sottolineava i segni di una forte concentrazione sull’opera … osservava in silenzio, un silenzio che cominciava a destare qualche sospetto al povero parroco e, dopo essersi sistemato lo zucchetto che portava sulla testa, disse: “No, no, non è adatta ai tuoi fedeli, va sostituita subito.”

Le pitture erano state dipinte con segni forti e dinamici, colori contrastanti e a volte violenti, creavano delle composizioni che ricordavano l’espressionismo astratto.

Il parroco, fedele e obbediente, tolse i quadri che lasciarono il posto ad una nuova Via Crucis con semplici immagini stampate a colori, benedetta la domenica successiva da un frate francescano.

In effetti era difficile trovare nelle opere un invito al contatto con Dio che diventava preghiera e credo che al vescovo saranno senz’altro tornate in mente le raccomandazioni del suo vecchio parroco don Filippo a proposito del linguaggio, “Pensa che lo deve (l’articolo) leggere quella vecchietta, sai? che sta su in cima al paese. Te la immagini, povera vecchia …” e questo concetto ben si estendeva per la comprensione non solo della parola, ma anche del linguaggio dell’arte, in particolare di quello dell’arte sacra.

 

Giorgio   Della Libera