L’universo onirico di Roberto Ferri

 

 

Dove vuole arrivare Roberto Ferri? La rassegna a Bologna a Palazzo Pallavicini presenta una quarantina di opere del pittore – classe 1978 -, o meglio di un pittore del tutto sui generis. Ferri pone molte domande. Come qualifica il suo stile, cosa vogliono dire le sue opere; è uno stupendo imitatore del passato – la classicità Michelangelo Caravaggio -, o un creatore originale? Domande, alcune, e necessarie. Il motivo è semplice. Ferri sembra un caravaggesco del Duemila, ma anche un surrealista figurativo, un simbolista del corpo da cui pare ossessionato, e pure un idealista di una bellezza senza tempo.

Qualità che si ritrovano in molte sue opere, anche di soggetto esplicitamente religioso, come le tele della Via Crucis nella cattedrale siciliana di Noto. La sua è infatti una religione umanissima.

I san Giovannini che dipinge in diverse versioni sono modelli vivi, attuali, di una fisicità dirompente, si direbbe quasi sensuale. Certo ricordano Caravaggio, addirittura l’Adamo michelangiolesco. Oppure il San Sebastiano, corpo modellato di un giovane d’oggi, eppure se lo si volesse collegare ai soggetti di un Guido Reni si noterebbe l’abisso fra i due, non la complementarietà. Alla elegia levigata ed ambigua di Reni, Ferri oppone la chiarezza di un corpo in salute, virile: ferito eppure glorificato dalla stupenda invenzione dei gigli di purezza, candidi fiori che sbocciano dalle ferite acanto ad una colonna insanguinata. Sebastiano alter Christus, umanità bella nel dolore come nelle tele della Via Crucis.

Anche quando rivisita un soggetto secolare come la Madonna col Bambino, Ferri in un finissimo disegno unifica la Virgo lactans con la Madonna in trono della tradizione in una compostezza classica, se non fosse per lo slancio aggressivo del bambino che dà alla tela una sacralità umana, terrestre. Priva di spiritualità?

In apparenza.

Sicuramente il pittore è attratto dal mondo classico di miti ed eroi – Achille, Proserpina… – e li reinventa, li ammorbidisce e li esalta con luci-ombre vitali, fascinose.  E sicuramente la carica simbolica ed onirica riveste composizioni come Le Delizie infrante o L’Amore, la morte e il sogno: un groviglio di corpi tra vita e morte, illuminati da un lume anche spietato che nulla toglie alla fisicità e la rende anzi viva, presente e dolorosa. Bellezza immortale che tuttavia si infrange. È sogno, visione, metafora?

L’arte di un disegnatore-pittore assoluto come Ferri si presta a diverse interpretazioni. Eppure, nell’apparente eccesso di significati, balza evidente la capacità di visione di questa poetica. Che vorrebbe essere -e in alcune opere lo dice – onnicomprensiva. Il mito del passato reinventato con passione diventa lo specchio di una ricerca di immortalità che riveste i corpi forti, pieni di salute, di una bellezza che supera il dolore e la morte in una lotta incessante e fascinosa.

Questa ”spiritualità del corpo”, nel quale si incarna una ricerca-presenza dell’Assoluto vibra in ogni soggetto, sia in Dante  e Beatrice -ossia Paolo e Francesca -, sia nella  Giovane vergine e martire trafitta, nella dolente ascesa di Redenzione – il pallore di un crocifisso sostenuto da angeli -e sia nello Schiavo nell’ombra: immagine di una morte palpitante tra luce e tenebra. Forse una delle opere più misteriosamente affascinanti è la tela del Sonno di rugiada: due giovani, un uomo e una donna, dormono insieme, stretti e quasi impauriti. Un abbraccio che è sonno-attesa. Mistero. Ferri lo cerca con insistenza: il corpo per lui forse non è altro allora che la porta per perforarlo e entrarvi come bellezza purificata dal dolore.

 

Prof. Mario Dal Bello