Riportiamo di seguito alcuni stralci del discorso di Pio XII agli Espositori della VI Quadriennale romana, ritenuta da Ennio Francia «il più pregnante e acuto “breviario di estetica” mai formulato da un Pontefice»[1].
… Quanto Ci sia gradita la vostra presenza, vi insegna la tradizione stessa del Pontificato romano, che, erede dell’universale cultura, non ha mai cessato di pregiare l’arte, di circondarsi delle sue opere, di farla collaboratrice, nei debiti limiti, della sua divina missione, conservandone ed elevandone il destino, che è di condurre lo spirito a Dio.
E voi, da parte vostra, già il varcare la soglia di questa casa del Padre comune, vi siete sentiti il vostro mondo, riconoscendo voi stessi e i vostri ideali nei capolavori qui adunati attraverso i secoli. Nulla dunque manca a rendere scambievolmente gradito questo incontro tra il Successore, sebbene indegno, di quei Pontefici, che rifulsero come munifici mecenati delle arti, e voi, continuatori della tradizione artistica italiana …
Uno dei caratteri essenziali dell’arte, consiste in una certa intrinseca “affinità” dell’arte con la religione, che fa gli artisti in qualche modo interpreti della infinita perfezione di Dio, e particolarmente della sua bellezza ed armonia. La funzione di ogni arte sta infatti nell’infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito, in cui l’uomo è immerso, finché vive quaggiù, e nell’aprire come una finestra al suo spirito anelante verso l’infinito.
Da ciò consegue che ogni sforzo – vano, in verità – inteso a negare e sopprimere qualsiasi rapporto fra religione ed arte, risulterebbe menomazione dell’arte stessa, poiché qualsiasi bellezza artistica che si voglia cogliere nel mondo, nella natura, nell’uomo per esprimerla in suoni, in colori, in giuoco di masse, non può prescindere da Dio, dal momento che quanto esiste è legato a Lui con rapporti essenziali.
Non si dà dunque, come nella vita, così nell’arte l’esclusivamente “umano”, l’esclusivamente “naturale” od “immanente”. Con quanta maggior chiarezza l’arte rispecchia l’infinito, il divino con tanta maggior probabilità di felice successo essa s’innalza all’ideale e alla verità artistica. Perciò quanto più l’artista vive la religione, tanto meglio è preparato a parlare il linguaggio dell’arte, ad intenderne le armonie, a comunicarne i fremiti.
Naturalmente siamo ben lontani dal pensare che, per essere interpreti nel senso ora esposto, si debbano trattare esplicitamente soggetti religiosi; d’altra parte, non si può contestare il fatto che forse mai come in essi l’arte ha raggiunti suoi più alti fastigi.
[1]Ennio Francia, La Messa degli artisti 1971-1984, Comitato Romano Messa degli Artisti, Roma 1984, p. 40. Di questo volume sono state stampate 1500 copie fuori commercio.
[Testo a cura di G.B Gandolfo]